Il falso movente

Scrivere un romanzo giallo significa confrontarsi col male, osservarlo, studiarlo per poterlo comprendere e descrivere.

di Massimo Messa

(2016)

… I fratelli hanno ucciso i fratelli: questa orrenda novella vi do… chi è andato a scuola in anni ormai lontani ricorderà, forse, di essersi imbattuto in questo versetto del I° Coro del Conte di Carmagnola (quello che inizia col famoso S’ode a destra uno squillo di tromba). Poche parole per esprimere l’orrore della lotta fratricida, agghiacciante risposta a chi chiede chi sia il vincitore e chi il vinto: nella lotta fratricida non ci sono vincitori né vinti. Ci sono soltanto vittime.

Se è vero che la grandezza dei classici si misura dal loro restare attuali, questo frammento manzoniano è un grande classico: lo sentiamo ripetere ogni giorno in TV, ogni giorno lo leggiamo sui quotidiani, in tutte le sue varianti: i fratelli hanno ucciso i fratelli, i mariti hanno ucciso le mogli, le madri hanno ucciso i figli, i figli hanno ucciso i genitori; l’orrenda novella è cronaca quotidiana, materia d’indagini giudiziarie e televisive i cui confini diventano sempre più incerti.

Scrivere un romanzo giallo significa confrontarsi col male, osservarlo, studiarlo per poterlo comprendere e descrivere. Per la sua prima volta da giallista, il nostro Messa sceglie di affrontare il male nella sua forma, forse, meno umanamente comprensibile: l’odio che si sostituisce all’affetto, l’aggressività che si scatena dove ci si aspetterebbe rispetto, tolleranza, sostegno reciproco.

Il risultato è un giallo che strizza l’occhio al più classico noir, senza una linea di demarcazione precisa (manichea, a volte) tra buoni e cattivi, tra vittime e carnefici. Una storia a tinte cupe, come quelle del piovoso autunno che le fa da cornice. Una storia di vite credute normali, fortunate, perfino felici, costrette nel volgere di poche ore a mettersi in dubbio, a confrontarsi con verità dolorose, a porsi domande senza essere pronte ad ascoltare le risposte.

Il fulcro non è l’indagine di polizia: l’assassino è subito svelato. Non è una storia movimentata, non ci sono pedinamenti o inseguimenti.

Il poliziesco è una cosa, il giallo sfumato di noir un’altra. L’atmosfera è da piece teatrale: pochi esterni, molti interni; interni di uffici, abitazioni, anime.

Non ci sono vincitori né vinti. Ci sono soltanto vittime.

Qualcuno spara, qualcuno muore, qualcun altro resta a chiedersi perché.

E la ricerca del perché scava dentro, quanto e più della pallottola. Investe l’immagine della propria vita come un fiotto di solvente caduto per sbaglio su una fotografia. I colori sbiadiscono, i contorni sfumano, e a poco a poco l’immagine non c’è più, al punto da chiedersi se ci sia davvero mai stata, o si sia solo voluto credere che ci fosse.

Resta un inutile rettangolo di carta, buono solo per essere buttato via.                                                                                                                                    Antonio Chargé